IL BACIO RUBATO (racconto storico)

Firenze, 26 aprile 1478

 

“Hai riposto il farsetto del signore nell’apposito armadio?”.

Clara sussulta nel sentire la voce di Rosa, la cuoca più anziana, che sta tagliando con decisione alcune cipolle. Neppure quell’odore pungente riesce a farla piangere o a rendere più dolce il suo sguardo, ormai provato da anni di duro lavoro.

“Non ancora, stavo andando a prenderlo…”.

Rosa ferma improvvisamente la lama del coltello e le rivolge uno sguardo infuriato:

“Ragazzina devi essere più svelta nel fare le faccende che ti spettano. Il signor Giuliano non accetta certe mancanze. Rischi di essere sbattuta fuori dalla famiglia Medici. Non si getta al vento una tale fortuna, sai quante persone vorrebbero lavorare al servizio dei signori di Firenze?”.

Clara non risponde. Abbassa lo sguardo sul pavimento e muove la testa in segno di assenso. Si dirige in silenzio nella stanza attigua, dove molti abiti lavati e asciutti attendono di essere riportati al loro posto. In silenzio chiude la porta alle sue spalle e cerca il farsetto del suo signore. Non impiega molto tempo a trovarlo. L’odore dell’uomo che ha sempre amato colpisce le sue narici mentre con una mano accarezza il morbido velluto color amaranto. Sorride e trattiene a stento le lacrime. Deve porre fine a questa pazza relazione clandestina, non può continuare a giocare con il proprio cuore. Non ci sono speranze e mai ce ne saranno. Lui è il capo della Signoria di Firenze, lei un’umile serva. Ancora assorta nei suoi tristi pensieri, la ragazza inizia a risalire le scale che conducono agli appartamenti signorili quando si sente afferrare per la vita. Prima di voltarsi, stringe con decisione il farsetto per evitare di farlo cadere per terra, poi cerca di capire cosa stia accadendo, senza riuscirci.

“Dove stavi andando, mia cara?”.

Riconosce all’istante quella voce e quel profumo vagamente speziato che le fa quasi perdere i sensi.

“Mio signore, mi state facendo male. Lasciatemi, vi prego. Potrebbe arrivare qualcuno…”.

Sente allentare la presa delle sue mani, però non riesce a divincolarsi da lui. Ogni volta che lo incontra il suo cuore perde i battiti e le mani iniziano a tremare. Clara non riesce a capire se quelli siano i segni dell’amore e non vuole neppure pensarci, sarebbe comunque vano.

“Guardami! Adagia quel farsetto sul pavimento e lasciati baciare. Non ci vedrà nessuno. Sono già tutti pronti per raggiungere Santa Maria del Fiore per assistere alla santa Messa, nessuno tornerà al proprio appartamento”.

La ragazza si volta all’istante. Non riesce a opporgli resistenza. Forse lo farà più avanti. Quando quella Fioretta Gorini partorirà il loro figlio illegittimo, ma ora no. Ora vuole ancora sognare tra le braccia dell’unico uomo che ama. Incontra i suoi occhi, decisi e dolci al tempo stesso. Ancora una volta vi legge tutta la passione che brucia i loro corpi e si abbandona tra le sue braccia, incurante del farsetto che cade a terra.

“Non riesco a dirvi di no…e voi lo sapete!”.

Giuliano le passa una mano tra i capelli, allentando la stretta crocchia che trattiene la sua folta capigliatura castana. Senza aggiungere altro avvicina le sue labbra a quelle di Clara e la soffoca con un bacio avido e violento. Pochi istanti che sembrano un’eternità per entrambi.

“Fratello, dove siete? Sbrigatevi o faremo tardi alla funzione. Il popolo ci attende”.

La voce di Lorenzo li coglie alla sprovvista. Si allontanano con riluttanza e la ragazza cerca di risistemare velocemente l’acconciatura. Giuliano la trattiene per un braccio per sussurrarle all’orecchio:

“Questa sera vi attendo davanti la mia camera alle dieci in punto. Trovate una scusa per raggiungermi…”.

Senza darle il tempo di rispondere raggiunge con passo svelto le scale. Vede i suoi capelli corvini svolazzare a ogni passo per poi scomparire dopo aver disceso la prima rampa. Clara sospira e raccoglie il farsetto. Non sarà facile ricomporlo e nascondere il sottile strato di polvere che ha oscurato la vivacità del colore amaranto.  Lo scuote con decisione e raggiunge la camera del suo signore e amante.

 

Prima di scendere nelle cucine, Clara, scosta le pesanti tende di velluto della finestra e osserva i due fratelli. I due Signori di Firenze che, fianco a fianco, stanno percorrendo il cortile. Lorenzo, alto e possente, cammina impettito e sicuro di sé stesso. Giuliano, lo segue e sembra assorto nei suoi pensieri. È poco più basso del primogenito, ma aggraziato sia nelle movenze che nell’aspetto fisico. I suoi capelli sono leggermente ondulati e la bocca è sempre pronta al sorriso. A volte, quando lei e il padrone si incontrano per poche ore durante la notte, lui le parla dei grandi scrittori dei secoli passati con una passione che contagia anche il suo cuore di umile serva. Quei momenti sono la sua linfa vitale, ma anche la sua condanna. Conosce l’esistenza dell’altra donna che tra poco partorirà un figlio che, forse, cambierà la loro storia d’amore. Ma è davvero una storia d’amore o solo un piacevole spasso per un signore in cerca di passatempi notturni? Cerca di non pensarci e sta per allontanarsi dalla grande finestra quando lo vede voltarsi e fermare lo sguardo proprio su di lei. Clara rimane immobile, trattiene il fiato e porta una mano al petto come a voler fermare il cuore che batte all’impazzata. Giuliano le sorride o almeno così a lei sembra, poi riprende a camminare dietro al fratello. Dovrebbe essere felice di un tale inaspettato saluto, eppure qualcosa la fa tremare. Una fitta lungo la schiena e innumerevoli brividi di freddo si impossessano della sua persona. Non può essere un cattivo presagio; fuori splende il sole e tutta Firenze sta raggiungendo Santa Maria del Fiore.

Questa domenica la piazza antistante la chiesa è colma di gente e le bancarelle sono affollate da curiosi alla ricerca di manufatti artigiani da acquistare. Molti sono i nobili che si accingono a presenziare alla funzione, ma ancora più alto è il numero dei semplici popolani che assistono a quella parata di vestiti dai colori sgargianti e gioielli di valore inimmaginabile. Qualcuno inneggia e applaude al passaggio dei Signori della città, altri li osservano con sguardi infuriati. Clara non riesce a intravedere Giuliano né Lorenzo, ma sa che stanno per entrare all’interno della chiesa perché le scalinate sono colme di personalità di rilievo, autorizzate a stare al loro fianco.

“Ragazza, svegliati! Siamo qua per comprare delle nuove pentole in rame e non per goderci la giornata”.

Rosa non si cura di abbassare la voce quando è in pubblico e alcuni passanti si voltano a guardala con aria infastidita. Clara cerca di calmarla offrendole un candido sorriso di scuse.

“Hai ragione. Mi sono distratta solo un attimo, ma ora sono tutta occhi per scegliere gli arnesi del mestiere che più ci saranno utili”.

Nel pronunciare quelle parole prende l’anziana cuoca sotto braccio e si dirigono insieme verso una bancarella piena di cianfrusaglie da cucina. Insieme iniziano a rovistare tra le varie padelle quando, inavvertitamente, assistono allo scambio di battute di due donne del popolo.

“Avete visto? Sta passando la donna segreta del secondogenito de’ Medici”.

La donna più piccola e grassottella indica una giovane che indossa un abito che a stento nasconde l’evidente stato di gravidanza. Le pieghe sotto il seno tirano le cuciture del pregiato velluto damascato e le sue mani, che fuoriescono da ampie maniche bordate da ricami riccamente decorati, sono gonfie e paonazze.

“Ma la figlia di Antonio Gorini, il corazzaio? Dicono che Giuliano le regali abiti e gioielli di inestimabile valore, ma che non la sposerà anche se presto gli darà un figlio”.

La giovane comare risponde alla sua compagna portandosi una mano davanti la bocca, senza curarsi però di usare un tono di voce basso. Clara non può non voltarsi nuovamente a osservare la sua ipotetica rivale in amore. È bella. Veramente carina e aggraziata, oltre a portare quegli abiti con disinvoltura e orgoglio. Sa che le popolane la stanno ammirando e molte di loro, in segreto, sognano di essere al suo posto. Forse non otterrà la nomina di Signora di Firenze, ma il figlio che porta in grembo le assicurerà una felice esistenza.

“Cosa fai? Ascolti i pettegolezzi della gente? Non sono cose che ci riguardano”.

Rosa la strattona di nuovo con l’unica mano libera a disposizione, nell’altra stringe una grande pentola di rame che agita in aria come fosse una pezza di tessuto.

“Scusami… volevo lasciare a te il piacere della scelta. Io, d’altronde, sono solo una serva e non cucino mai niente, eccetto quando ti aiuto a tagliare le verdure per le zuppe”.

Clara cerca di sorridere, ma la donna è davvero infuriata e non smette di brandire in aria quell’arnese da cucina, pronto a trasformarsi in un’arma contundente.

“Non cercare di sfuggire ai tuoi doveri, ragazzina. Se continui così sarò costretta a riferire tutto al signor Lorenzo, non credo che ci penserà su due volte a sbatterti fuori dal suo palazzo”.

Senza replicare allontana il suo sguardo dalla bella Fioretta e riprende ad armeggiare tra quelle rumorose cianfrusaglie.

 

Clara non ha mai visto niente al di fuori della sua amata città, ma pensa che in nessuna parte del mondo possa esistere una chiesa più bella di Santa Maria del Fiore. Grande, imponente e finemente decorata, svetta nel centro di Firenze e sembra volersi prendere cura delle anime dei suoi abitanti. La sua cupola si slancia maestosa verso il cielo e lascia senza fiato chiunque. Giuliano le aveva raccontato che un certo Arnolfo di Cambio, un architetto rinomato nei secoli passati, aveva progettato la struttura senza poter assistere alla fine dei lavori, che si erano poi protratti fino a giorni loro. Molti nomi famosi si erano avvicendati nel proseguimento di questa meraviglia architettonica; tra cui Andrea Pisano e Giotto. La ragazza sta per voltarsi e seguire Rosa verso la strada del ritorno a Palazzo quando degli urli concitati le fa voltare entrambe di scatto. Il brusio del popolo si infrange all’istante e tutti gli occhi sono puntati su alcune persone che, con il volto coperto, corrono fuori dalla chiesa.

“Hanno ucciso Giuliano de’ Medici!”.

Un uomo sta muovendo convulsamente le mani al cielo, mentre i più curiosi forzano le porte d’ingresso della cattedrale. Un sudore freddo si impossessa della fronte di Clara e le gambe iniziano a tremare come se fossero sul punto di cedere. Sente le mani di Rosa che la sorreggono per poi non riuscire a distinguere altro che immagini sfuocate. Non può essere…perché? Perché hanno ucciso proprio lui? Senza provare alcun rimorso si scopre a desiderare che fosse stato Lorenzo al suo posto. Giuliano non merita di morire. Non ora che la sua Fioretta sta per dargli un figlio, non oggi che avrebbe dovuto incontrarlo nuovamente nei suoi appartamenti.

“Ragazza, riprenditi. Forza dobbiamo andare a Palazzo a dare la notizia. Noi non possiamo piangere… A noi, Clara, non è dato amare”.

Poche parole che rivelano più di tanti silenzi inascoltati. La cuoca aveva sempre saputo del loro amore clandestino senza mai dire niente a riguardo. Con fatica si asciuga le lacrime e cerca di sorreggersi alla vita della donna. Afferra una pezza consunta per asciugarsi la fronte e rivolge lo sguardo verso il sagrato della chiesa. La calca è aumentata a tal punto da non riuscire a percepire la differenza tra popolani e nobili.

“Io lo amavo…”.

“Forse anche lui amava te. Ma eravate due mondi diversi che non si sarebbero mai potuti congiungere”.

Questa volta la voce di Rosa è dolce e comprensiva. Clara non risponde, le sorride e si lascia aggiustare l’acconciatura. Poi, lentamente la segue verso la strada che la riporterà a Palazzo. Prima di farlo si gira un’ultima volta verso la chiesa passandosi una mano sulle labbra. Il sapore del bacio rubato di poche ore prima è ancora lì.

File:Giuliano de' Medici by Sandro Botticelli.jpeg

BOTTICELLI: Giuliano de’ Medici , Firenze 1453, 1478

http://it.wikipedia.org/wiki/Giuliano_de%27_Medici

grazie al commento di Luisella a Fieno & Carote!

RIPORTO DI SEGUITO IL COMMENTO DI LUISELLA BRENDA, LA GRAFICA CHE HA CURATO LA COPERTINA DEL ROMANZO:

Oggi mi sono finalmente voluta dedicare un po’ alla lettura, non ho molto tempo per mettermici, ma oggi ho dedicato del tempo al tuo libro, beh che dire..ad ogni parola davo un’ immagine, talmente tanto forte, che ora che ho finito..non mi ricordo di aver letto un libro ma di aver guardato un film, un film che mi ha fatto commuovere, la tua scrittura prende talmente forma che quasi si potrebbe toccare. Complimenti davvero cara Sam!

il sito di luisella, la mia grafica: http://www.luisellabrenda.it/

UN RAID DRITTO AL CUORE (IV parte)

“ Ma chi è questa pazza? Se non sopporta tali spettacoli cosa diavolo è venuta a fare? E poi con il passamontagna di raso!”

La voce della ragazza mi arriva leggermente attutita. Sento i capelli appiccicati alla nuca e il sudore che bagna la mia fronte. La maschera di Batman è ancora sulla mia faccia. Non posso toglierla per quanto sia ridicola. Questa è la regola degli A.L.F, operare nell’incognito.

“ Ho il vago sospetto di sapere chi si nasconde sotto questa specie di passamontagna. L’anello al dito mi è familiare”.

La voce adirata di Duccio finisce col risvegliarmi completamente dallo svenimento di pochi minuti prima. Sono distesa su un pavimento freddo e cerco disperatamente con le mani il coniglio che mi era stato affidato, ma non lo trovo. Apro gli occhi e mi accorgo di essere sul furgoncino dove caricano le gabbie con le poveri cavie, liberate dal loro triste destino. Il mio fidanzato mi sta osservando infuriato, balbetto qualche parola senza senso.

“Scusatemi, volevo essere utile e invece ho combinato un guaio..”

“Non solo, mia cara, hai pure rallentato le operazioni di fuga!”

Duccio è davvero arrabbiato nero. Mi offre una mano per sollevarmi e mi passa un cioccolatino.

“ Mangia per recuperare le forze. Come stai? Ti gira la testa?”

Mi vergogno come una ladra e mi sento tutti gli occhi puntati addosso. Lo spazio è stretto e angusto, il veicolo sembra essere in movimento. Anzi lo è.

“No. Sto meglio”.

Non finisco la frase che scorgo le gabbie con i poveri coniglietti in un angolo. Sembrano tranquilli.

“ Possiamo portarlo a casa?”

La ragazza mi guarda e sorride. La cioccolata mi dà la forza necessaria per avvicinarmi alla piccola ex cavia con la zampetta amputata. Inserisco una mano attraverso le sbarre e lui appoggia il nasino sul mio indice. E’ amore.

“Deduco che sia la tua ragazza. Sei stato scoperto mio caro… deve farsi le ossa se vuole seguirci”.

Mi volto con le lacrime agli occhi, tanto il passamontagna le nasconde in parte. O forse no, dal momento che è in raso. Non mi importa.

“ Si. E’ la pazza con cui ho deciso di convivere. Siamo due pazzi per la precisione. Il coniglio viene con noi. E spero sia l’ultimo perché se per ogni raid devo adottare un animale neppure una fattoria sarà sufficiente a contenerli!”

MI SONO AFFEZIONATA A DUCCIO ED ELETTRA, QUINDI DIVENTERANNO I PERSONAGGI DI UN BREVE ROMANZO CON LO SCOPO DI DENUNCIARE LE MOLTEPLICI VIOLENZE CHE L’UOMO OPERA SUGLI ANIMALI..quindi non ci saranno più racconti ma una pubblicazione finale….

immagine tratta dall’articolo:

sabotaggioanimalisti/conigli liberati

 

VIDEO:


UN RAID DRITTO AL CUORE (III parte)

Lascio la mia macchina in un parcheggio poco distante l’azienda in questione e raggiungo l’entrata a piedi. Scorgo subito un gruppetto di ragazzi che stanno posizionando delle gabbie per terra. Un vecchio camioncino ha le portiere aperte e al suo interno vedo altre persone che stanno prendendo delle torce. Affretto il passo e mi infilo il passamontagna. All’improvviso mi blocco. Sono ancora in tempo per tornare indietro. Ma non lo faccio. Proseguo a testa alta, sicura di voler vedere in faccia la realtà.

“ Uno nuovo. Dai sbrigati! Prendi questa torcia e seguici”.

Un ragazzo mi passa il necessario per farmi luce all’interno del capannone. Nessuno mi chiede il mio nome. L’incognito è d’obbligo.

“Originale il tuo passamontagna. La prossima volta comprane uno di lana. Dammi retta, con quello sembri Batman”.

E’ una ragazza a parlare e con le sue parole fa voltare il resto del gruppo che si concede una risata collettiva. Duccio mi osserva e per un attimo ho paura che mi riconosca, ma si volta e scavalca il cancello con un salto atletico. Due ragazzi rompono i vetri con un oggetto di ferro e ci fanno cenno di entrare. Nel buio cammino lentamente incredula per la prontezza con cui gli altri riconoscono gli uffici e si catapultano all’interno per rompere con calci e bastonate dei computer mentre una ragazza scrive slogan animalisti sul muro con una bomboletta di vernice rossa. Non riesco a fare come loro. Assesto solo qualche timido colpo alle tastiere, ma non riesco a fare oltre.

“Forza dirigiamoci nel reparto scientifico. Venite a rompere i vetri per passare le gabbie”.

E’ Duccio a parlare. Sono in preda al panico. Seguo il gruppo per un corridoio lungo e stretto. Corrono per paura di essere scoperti. Il tempo in questi raid è fondamentale. La ragazza spinge una porta e fa luce all’interno della stanza. Quello che vedo non ha dell’umano. Mi appoggio allo stipite e lascio che gli altri si avvicinino concitatamente agli animali. Sento la testa che gira. Le gambe che tremano e un sudore freddo che scende dalla mia fronte, bagnando il passamontagna. Un centinaio di conigli sono chiusi in loculi bui, senza cibo con solo un abbeveratoio. Ma questo è niente. Hanno aghi infilati nelle zampe e addirittura negli occhi. Il sangue si è cicatrizzato intorno alle ferite. Alcuni hanno anche una gamba amputata. Sono ancora ferma. Incapace di agire. Guardo questi ragazzi che aprono le gabbie, staccano gli aghi e salvano solo pochi esemplari. Gli altri dovranno rimanere lì. Non è possibile liberarli tutti. Allora penso alla loro tristezza di aver visto in faccia la libertà per perderla subito. E penso a noi stupidi umani che compriamo questi prodotti di bellezza, queste creme che uccidono una schiera infinita di innocenti.

“ Veloci passate gli animali dalla finestra e spengete le torce. Altrimenti possono vedere le luci da fuori”.

Mi volto, e con la poca forza che mi è rimasta, raggiungo gli uffici. Distruggo con una foga sovraumana gli ultimi schermi dei computer rimasti integri. Come possono queste persone svegliarsi la mattina e venire a lavoro? Come possono vivere con un tale fardello sulla coscienza? Striscio nel corridoio, la testa mi gira, ma ritorno nella stanza delle torture.

“Dove eri finita dannazione? Prendi questo povero coniglio e passa dalla finestra. Veloce, dobbiamo andarcene!”

La ragazza urla disperata e mi spinge fuori. Stringo quell’esserino indifeso e quando lo guardo il mio cuore manca un colpo. Ha una zampa amputata. Sento l’erba sotto le mie scarpe. Siamo finalmente fuori. Svengo. (Continua)

 

SAMANTA

UN RAID DRITTO AL CUORE (II parte)

“ Dopo cena devo uscire. Non mi chiedere dove devo andare…”

Da quando mi ha svelato di essere un attivista A.l.f ho rispettato il suo silenzio a riguardo, non gli ho mai fatto domande sui raid che compiono. Eppure muoio dalla curiosità.

“ Non ti preoccupare. Ti prego solo di stare attento. Non voglio portati le arance in carcere. Si dice così vero?”

Cerco di buttarla sullo scherzo, anche se inizio ad essere nervosa. Chissà quante volte ha fatto queste incursioni notturne e ha rischiato di essere scoperto mentre io lo credevo ad una cena tra amici o, semplicemente, al bar.

“Si, si dice così. Stai tranquilla, non accadrà…Spero”.

Deglutisco a fatica e penso a qualcosa da inventare per tirare su il morale della serata.

“ Faccio un bel dolce alle mele, così sarai bello in forma!”

Pinco salta alle nostre gambe alla disperata richiesta di qualche pinolo. Il nostro coniglio riesce sempre ad ottenere quello che vuole, anche quando l’alimento in questione non è dei migliori per la sua salute. E’ una palla di pelo nel vero senso della parola, ossia grasso, ma bello. Tutto nero e con il ponpon della coda bianco. Si potrebbe scambiare per un peluche se non fosse tanto agitato. Monta sul divano con un balzo quasi felino, rincorre Nerina, la nostra povera gatta vicina ad una crisi di nervi. Sorrido nel vedere Duccio che lo prende in braccio per accarezzarlo. Fa talmente tenerezza da riuscire ad ottenere tutto quello che vuole. All’improvviso divento seria nel pensare a quanti conigli in questo momento sono stipati in gabbie strette e sporche per essere seviziati in nome delle scienza. Per poco non perdo i sensi nell’immaginare il nostro Pinco al loro posto. Sono animali così dolci, affettuosi e desiderosi di coccole da affidarsi alle cure dell’uomo senza opporre resistenza. Peccato! E se Duccio questa notte visitasse una di quelle aziende che detiene proprio conigli?

“Ottima! Le tue torte sono un attentato alla linea!”

Sorrido compiaciuta per il complimento appena ricevuto. Abbiamo cenato in silenzio. La sua tensione è palpabile. Pinco e Nerina ne approfittano per giocare ai nostri piedi senza essere sgridati. Lui non parla e io ho paura a farlo.

“Grazie, troppo gentile. Preparo il caffè?”

Fa cenno di si con la testa e si alza.

“ Vado in bagno un attimo. Chiamami quando la moka è pronta”.

Annuisco e inizio a riempire la caffettiera con la polvere quando mi sorge un dubbio. Accendo il gas e posiziono la moka sopra il fornello. Prendo Pinco in braccio e mi dirigo verso la stanza adibita a lavanderia, voglio pettinarlo, sono due giorni che non lo toeletto. Una futile scusa per passare proprio davanti il bagno. E lo sento. Sta parlando sottovoce al cellulare. Avvicino il mio orecchio e percepisco solo l’indirizzo di ritrovo del gruppo. Ho il tempo di fare due passi avanti prima che lui riapra la porta. Pinco si dimena disperato nel percepire quale sarà la sua fine. Detesta essere spazzolato.

“ Elettra dove vai? Non senti che odore di caffè c’è in casa?”

Presa dalla situazione non ho fatto caso al rumore della moka. Adagio Pinco per terra che fugge alla velocità della luce.

“ Per stasera l’hai scampata, ma domani ti tocca mio caro”.

Duccio mi guarda poco convinto.

“ Metti la caffettiera sul fuoco e vai a pettinare il coniglio? Non è da te”.

Non rispondo ma mi affretto a versare il caffè e a mettere la zuccheriera sul tavolo. Mi dà un bacio veloce e se ne va senza voltarsi. Tiro un sospiro e decido di seguirlo. Mi sono appena ricordata di avere un passamontagna nero. L’unico problema è che non è di lana ma di raso. Risale a qualche anno fa e faceva parte del mio abito carnevalesco: Batman. L’unica ed ultima volta che mi sono mascherata per l’ insistenza delle mie amiche.  Controllo dalla finestra che Duccio se ne sia andato, apro il cartone dei vecchi ricordi. Prendo il passamontagna lo infilo nella tasca dei jeans ed esco di casa. (CONTINUA….)

ESTRATTO DA A.L.F ITALIA:

@ 8 novembre 2005 – Questa è la dichiarazione di Peter Young davanti al tribunale: Peter Young è stato accusato e ritenuto colpevole di 6 liberazioni in allevamenti di visoni.

“Questo è il momento in cui normalmente un imputato esprime il suo pentimento per i crimini commessi. Permettete che vi dica il perché io non sono pentito. Sono qui per essere processato per aver partecipato

alla liberazione di visoni da 6 allevamenti. Mi pento che siano stati solo 6. Sono qui per essere processato per aver partecipato alla liberazione di 8.000 visoni da detti allevamenti. Mi pento che siano stati solo 8.000. Mi risulta che solo 2 di tali allevamenti hanno chiuso. Mi pento che siano solo 2.

Mi pento, in particolar modo, della mia moderazione perché, indipendentemente dal danno causato a questo commercio, se tali allevamenti continuano ad essere attivi, se un solo animale è stato lasciato indietro, allora non è stato sufficiente.

Non pretendo esimermi dalle conseguenze di tali azioni supplicando la misericordia o appellandomi alla coscienza della corte, perché se questo sistema avesse coscienza io non sarei qui ed al mio posto ci sarebbero tutti i macellai, i vivisettori e i pellicciai del mondo intero.

Penso di continuare a tenere la testa in alto in questa corte, che mi condannerà per un atto di coscienza. Nemmeno darò il piacere agli allevatori presenti in aula di vedermi chino di fronte ad essi. A coloro i quali ho visitato le fattorie nel 1997, fatemelo dire in faccia per

la prima volta: è stato un piacere attaccare i vostri allevamenti e liberare quegli animali che tenevate in gabbia. E’ di fronte a questi ultimi che io rispondo, non a voi, non a questo tribunale. Ricorderò le notti che entrai nelle vostre proprietà come la miglior esperienza della mia vita.

E voi allevatori o sadici che leggerete le mie parole e riderete della mia sorte, ricordatevi: abbiamo lasciato più noi allevatori in bancarotta di quanti liberatori voi siete riusciti a far imprigionare. Non lo dimenticate.

Lasciatemi ringraziare tutte le persone che sono venute ad appoggiarmi in questo processo.

Il mio ultimo desiderio, prima di tornare in carcere, è che ognuno di voi si diriga a un allevamento di animali da pelliccia questa stessa notte, tirate giù i recinti e aprite tutte le gabbie… E’ tutto.”

CHI E’ PETER YOUNG:

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